Adriano Macchione – S. Giovanni Battista

Come ben si sa, il 24 giugno si celebra, in tutto il mondo cattolico, San Giovanni Battista. E anche a Nocera, della quale San Giovanni è il Santo Patrono.
Da quando? Da tempo immemorabile.
Andiamo con ordine. Nocera era, nel 1200, come tutto il Meridione, sotto il dominio di Federico II. Questi, veniva spesso a caccia nelle zone di Nicastro. Ma, un bel giorno, si accorse il re di non avere un castello. Siccome a Nicastro ce n’era uno, ma di proprietà dei monaci della locale Abbazia Benedettina di Sant’Eufemia, creata dai Normanni qualche secolo prima, propose agli stessi monaci uno scambio, vi dò Nocera e tutti i suoi territori, compresi quelli di Campora che è nocerese, più tutto Aprigliano nel Cosentino, e voi mi date il castello, questa la proposta. Lo scambio fu effettuato davanti a un notaio a Foggia con esattezza il 4 febbraio 1240. Un affare per entrambi, per Federico (che poverino non aveva un castello e quindi lo ebbe) e per l’Abbazia, che moltiplico’ le sue proprietà. Poi, qualche anno dopo, diciamo tra il 1275 e il 1279, giunsero nel Lametino i soldati del Sacro Militare Ordine degli Ospedalieri, reduci dalle Crociate, e s’impossessarono dell’antica Abbazia dei Benedettini creata dai Normanni.

Giusto per creare confusione, e fare un po’ di bordello culturale, questi soldati del Sacro Militare Ordine degli Ospedalieri, sono definiti sui libri anche Ospedalieri di San Giovanni e Cavalieri Giovanniti in quanto devoti a San Giovanni e anche Cavalieri Gerosolimitani (che vuol dire di Gerusalemme, dove avevano combattuto). Infine, ma solo dopo il 1530, anno in cui conquistarono Malta, e quindi due secoli dopo, furono detti anche Ospedalieri di Malta e Cavalieri di Malta, oggi il termine più noto e più facile da ricordare.

Era il 4 febbraio 1240, dunque, e d’allora Nocera rimase in mano all’Abbazia e quindi ai suoi padroni, i Giovanniti, fino al 12 agosto 1806. Quindi per 566 anni, un numero facilmente ricordabile. Fino a quando, in pratica, i Giovanniti, detti ormai Cavalieri di Malta, non persero queste terre, dopo secoli, con l’avvento del conquistatore Napoleone, che le passò al Demanio, cioè allo stato, cioè a se stesso.

Ma veniamo al nostro culto per l’amato patrono.
Come già detto, i nuovi padroni dell’Abbazia, i Giovanniti, erano devotissimi a San Giovanni.
In tutti i paesi in cui si stanziarono sin dalla fine del 1200, costruirono la loro bella chiesetta ed elessero il nobile profeta a patrono. L’elenco di questi paesi è lunghissimo. Ce ne sono in prov. di Reggio, di Catanzaro e Cosenza, oltre che, ovviamente, in Sicilia. Esempio eclatante, San Giovanni Fiore, dove pure il paesone fu intitolato a San Giovanni.
Da noi è altrettanto evidente quest’origine. I Giovanniti erano di stanza a Sant’Eufemia, con sede centrale nel Bastione. Erano quindi padroni della vicina Gizzeria, ed ecco i in quel paese San Giovanni protettore con relativa chiesa, erano padroni di Nocera ed ecco il Santo e la chiesa, ed erano padroni delle terre oltre il Piano di Tirena, ed ecco Campora denominata San Giovanni per dirne dell’appartenenza geografica e politica. Poi, quando Campora, secoli dopo, fu aggregata ad Amantea, e pur con un nuovo santo protettore, San Francesco, il nome originario gli fu confermato dai suoi pochi abitanti.
Naturalmente anche a Sant’Eufemia oggi detta Vetere (che vuol dire vecchia), vicinissima al Bastione, c’era la chiesetta di San Giovannni. E c’è ancora. Vederla è una strizza al cuore, perché la storia riapre i suoi libri (almeno per me). Pensate, era così intenso il legame tra i vari paesi sotto i Giovanniti, che quando giunse il terremoto del 1783 e distrusse la chiesetta di Sant’Eufemia, molte statue e reliquie furono portate a Nocera. Una per tutte? La statua di San Giovanni sul profilo anteriore della chiesa, bellissima e di pregio, che potrebbe essere anche della fine del 1200 (dovremmo verificarlo!), ecco, quella viene da Sant’Eufemia e non è prodotto di un’edificazione nocerese.
I Giovanniti un altro bel regalo lo avevano fatto nel 1500, quando acquistarono (o forse fecero scolpire sul posto) l’attuale mezzo busto di San Giovanni, quello che si porta in processione. Un’opera forse sottovalutata, ma opera probabilmente di un grande scultore messinese, Antonello Gagini, nato nel 1478 e morto nel 1536, molto famoso ancora oggi, uno che ha lasciato opere un po’ in tutto il Meridione (nella chiesa

Giusto per creare confusione, e fare un po’ di bordello culturale, questi soldati del Sacro Militare Ordine degli Ospedalieri, sono definiti sui libri anche Ospedalieri di San Giovanni e Cavalieri Giovanniti in quanto devoti a San Giovanni e anche Cavalieri Gerosolimitani (che vuol dire di Gerusalemme, dove avevano combattuto). Infine, ma solo dopo il 1530, anno in cui conquistarono Malta, e quindi due secoli dopo, furono detti anche Ospedalieri di Malta e Cavalieri di Malta, oggi il termine più noto e più facile da ricordare.

Era il 4 febbraio 1240, dunque, e d’allora Nocera rimase in mano all’Abbazia e quindi ai suoi padroni, i Giovanniti, fino al 12 agosto 1806. Quindi per 566 anni, un numero facilmente ricordabile. Fino a quando, in pratica, i Giovanniti, detti ormai Cavalieri di Malta, non persero queste terre, dopo secoli, con l’avvento del conquistatore Napoleone, che le passò al Demanio, cioè allo stato, cioè a se stesso.

Ma veniamo al nostro culto per l’amato patrono.
Come già detto, i nuovi padroni dell’Abbazia, i Giovanniti, erano devotissimi a San Giovanni.
In tutti i paesi in cui si stanziarono sin dalla fine del 1200, costruirono la loro bella chiesetta ed elessero il nobile profeta a patrono. L’elenco di questi paesi è lunghissimo. Ce ne sono in prov. di Reggio, di Catanzaro e Cosenza, oltre che, ovviamente, in Sicilia. Esempio eclatante, San Giovanni Fiore, dove pure il paesone fu intitolato a San Giovanni.
Da noi è altrettanto evidente quest’origine. I Giovanniti erano di stanza a Sant’Eufemia, con sede centrale nel Bastione. Erano quindi padroni della vicina Gizzeria, ed ecco i in quel paese San Giovanni protettore con relativa chiesa, erano padroni di Nocera ed ecco il Santo e la chiesa, ed erano padroni delle terre oltre il Piano di Tirena, ed ecco Campora denominata San Giovanni per dirne dell’appartenenza geografica e politica. Poi, quando Campora, secoli dopo, fu aggregata ad Amantea, e pur con un nuovo santo protettore, San Francesco, il nome originario gli fu confermato dai suoi pochi abitanti.
Naturalmente anche a Sant’Eufemia oggi detta Vetere (che vuol dire vecchia), vicinissima al Bastione, c’era la chiesetta di San Giovannni. E c’è ancora. Vederla è una strizza al cuore, perché la storia riapre i suoi libri (almeno per me). Pensate, era così intenso il legame tra i vari paesi sotto i Giovanniti, che quando giunse il terremoto del 1783 e distrusse la chiesetta di Sant’Eufemia, molte statue e reliquie furono portate a Nocera. Una per tutte? La statua di San Giovanni sul profilo anteriore della chiesa, bellissima e di pregio, che potrebbe essere anche della fine del 1200 (dovremmo verificarlo!), ecco, quella viene da Sant’Eufemia e non è prodotto di un’edificazione nocerese.
I Giovanniti un altro bel regalo lo avevano fatto nel 1500, quando acquistarono (o forse fecero scolpire sul posto) l’attuale mezzo busto di San Giovanni, quello che si porta in processione. Un’opera forse sottovalutata, ma opera probabilmente di un grande scultore messinese, Antonello Gagini, nato nel 1478 e morto nel 1536, molto famoso ancora oggi, uno che ha lasciato opere un po’ in tutto il Meridione (nella chiesa

di Soverato, per esempio, a Gizzeria dove ha lasciato un’altra statua di San Giovanni e a Castelvetrano, in Sicilia, altro centro devoto al Battista, dove la statua è molto simile alla nostra).
Due cose penso certe volte. Che la nostra è una statua molto appetibile per ladri di opere d’arte, e poi, se gli attuali Cagini, prendono questo soprannome perché qualche avo costruiva “cagge” per bestioline, o se perché qualche avo sia stato il frutto di qualche malefatta amorosa dello scultore (che pur facendo santi, lui uno stinco di santo non tanto lo era).

Dopo quanto detto, puntiamo l’attenzione sulla chiesa di Nocera, costruita come detto dai Giovanniti, al loro arrivo in paese, quindi sul finire del 1200.
All’inizio, era piccolissima, quanto l’attuale canonica. Tutto il paese, in realtà, era molto piccolo. Iniziava alla Motta e finiva alla piazza. Non c’era ancora neppure via Santa Caterina, costruita tempo dopo. Poi, nei secoli, la chiesa è sempre stata ampliata, un po’ alla volta, dalla parte anteriore. Poi, nel 1783, un terribile terremoto, già citato, portò molti danni e fu ricostruita, ed ulteriormente ampliata, l’ultima parte sul davanti. Di seguito, ben 55 anni dopo, nel 1828, fu ultimata la cupola attuale.

Ma le peripezie della povera chiesa di San Giovanni non erano finite. Nel1905 ci fu il famoso terremoto, con epicentro nel Vibonese, e i danni a Nocera e alla chiesa furono enormi. La facciata crollò e fu costruita ex novo. Parteciparono tutti, alla ricostruzione. Chi con denari, chi con manodopera. I più poveri e i più giovani trasportarono sabbia dal fiume Grande a tonnellate. E la lasciavano a montagne dietro la chiesa. Tanto che il posto fu chiamato “via da rina”, che poi qualche sapientone locale, nel tempo, italianizzò, erroneamente, in via Arena.

In occasione dello sconquasso, le sopravvissute statue delle chiese, compresa la Madonna Addolorata, furono portate tutte al Canale, in un magazzino di proprietà dei Ferlaino. Forse fu per una sorta di ringraziamento divino che il piccolo Alfredo fu illuminato dalla vocazione e divenne sacerdote. A Vittorio, il padre di Napoleone, altro imparentato, rimase invece solo la definizione, “u prievite”, che era andata a qualcuno della famiglia per l’assiduita’ nell’assistenza alle statue, senza che poi arrivasse a prendere i voti ecclesiastici.

La ricostruzione iniziata nel 1905 fu ultimata nel 1907, quando vide la luce anche il nuovo campanile (quest’ultimo poi ritoccato negli anni immediatamente seguenti, quando assunse definitivamente la forma attuale). A lavori ultimati, in quel 1907, si organizzò l’inaugurazione per il 20 giugno, giusto in vista della festa di San Giovanni. Vennero molti forestieri, la piazza era stracolma, da Paola arrivò la banda diretta da un maestro di Napoli. La messa fu celebrata all’aperto. C’erano ben tre preti, don Francesco Pontieri, don Nicola Sposato e don Cesare Angotti. Ho trovato gli articoli del Mattino, del Roma e del Risorgimento, giornali dell’epoca, dedicati al grande avvenimento paesano. Poesia pura!

Don Francesco per le chiese e le feste fece di tutto e di più. Fu davvero un grande, vero e proprio eroe. Innumerevoli le sue iniziative. Un genio dell’invenzione folclorica.
Due anni dopo, nel 1909, per esempio, istituì la prima Fiera di San Giovanni. Organizzò il tutto nella zona detta Castello, nei pressi della Chiesa di San Francesco. Alla sera la fiera fu illuminata con un sistema di gas acetilene. Poi in quei giorni si svolsero molti giochi popolari. C’era la gara della pastasciutta, quella dei sacchi, delle pignate, dell’albero della cuccagna, in dialetto detto “a ntinna”. La sera del 24, infine, si tenne una festa musicale. Il palco fu preparato da Giuseppe Cristofaro, uno che aveva fama di essere molto fantasioso con le scenografie. Tornò a suonare la banda di Paola, diretta stavolta da un maestro calabrese, Emilio Capizzano. Alla sera ecco i fuochi artificiali, eseguiti da Rocco Arena, di San Pietro a Maida. Uno spettacolo! Un successo! Non mancarono articoli sui giornali, che parlarono della festa. Nocera era ormai la regina del Reventino!

Nel 1915 ecco poi un’altra tragedia. Un fulmine si abbatte’ sulla cupola della chiesa di San Giovanni. Il boato si sentì perfino dalle campagne. La copertura saltò per intero. Le vetrate, nuove di zecca, andarono in frantumi. I restauri durarono fino al mese di ottobre.
Poi, nel 1916, ecco altri lavori. Furono costruiti i marciapiedi davanti alla chiesa di San Giovanni. Questo perché iniziavano ad emergere le mura di fondamenta della chiesa a causa delle piogge, dei maiali fatti stazionare in piazza per la vendita e che scavano a più non posso e anche a causa di ragazzi in cerca di ossa e di tesori. I lavori furono eseguiti dal mastro Emanuele Mancini e dal fratello. La spesa fu di 426 lire,

oltre la calce. I marciapiedi erano in marmetti piccoli, a mosaico, con in mezzo la data della costruzione. Poi, con il tempo, andarono a perdersi.
Un’altra festa di San Giovanni molto particolare fu quella del 1919, che accolse i reduci della guerra. Il 22 e il 23, durante il giorno, suono’ la banda di Nocera, alla sera del 22 quella a noi superiore di Conflenti. La fiera, da parte sua, ormai andava a mille. Il 23 giunse il vescovo, e quello fu un grande avvenimento. Il 24, per la messa del vescovo, arrivarono ben quattro parroci dei paesi vicini. Il 25 furono cresimati 300 ragazzi. Praticamente tutti quelli del paese. Un avvenimento epico. Il 26 fu consacrato finalmente l’altare della nuova chiesa di San Giovanni, dopo anni di attesa, dalla sua ricostruzione, avvenuta dopo il terremoto. Don Francesco supplicò il vescovo di farlo. Alla sera vi fu la processione del Corpus Domini. Tutta Nocera pregava e cantava al chiarore dei fanali.

Poi, due anni dopo, il 13 luglio, si diede il via ai lavori di decorazione all’interno della chiesa di San Giovanni. Fu incaricato il mastro Pinna di Nicastro. Si prese 40.000 lire del tempo per i soli colori. Poi ci furono da pagare maestri, calce, sabbia, gesso, cemento, legname, impaliature, ferro, fabbri. Pagò tutto la chiesa di San Giovanni. Alla fine dei lavori, giunti il 14 novembre 1926, furono spese in tutto 55.000 lire.

Ma nemmeno stavolta le peripezie erano finite.
Dopo la festa del Santo Patrono del 1936, il 27 giugno, una folgore colpì di nuovo il cupolone, dalla parte del Destro. Saltarono le piastrelle e si dovette provvedere a una nuova ricostruzione. Il giorno dopo il vescovo Cribellati diede la Comunione a 1.700 persone e cresimò 608 bambini. Poi consacrò Nocera al Sacro Cuore di Gesù.
Nel 1943 morì don Francesco Pontieri e un anno dopo divenne parroco un altro uomo incommensurabile per devozione, serietà e cultura, l’indimenticabile don Alfredo Ferlaino. Ma ormai siamo in tempo moderni e la storia più o meno la conoscete tutti.

Nocera, Nocera mia e nostra, culla di grandi uomini e di ingegno, di storia e tradizioni secolari, faro di civiltà, di cultura e di progresso in tutto il comprensorio, ma dove ti hanno buttato, dove sei andata a finire??