Vittoria Butera

Vittoria Butera è da sempre un riferimento culturale nella piccola Falerna. Un riferimento per lo studio della lingua italiana e delle lingue classiche del latino e del greco, per la storia e per le tradizioni antiche della nostra amata Calabria. Tanti sono gli studenti e ricercatori che sono approdati presso la sua abitazione alla ricerca di approfondimenti storici, culturali e sulle lingue antiche dei nostri padri.

Delle tante pubblicazioni che afferiscono a Vittoria Butera, sia in termini di articoli nelle varie riviste che trattano temi di tradizione popolare e storia antica della Calabria sia in termini di libri di narrativa e di tradizioni popolari e di storia, è un gran piacere quindi provare a raccogliere alcuni riferimenti e proporli, seppure solo sommariamente, in questo contenitore di promozione che il nostro sito rappresenta.

Cercheremo di arricchire sempre di più questa pagina ma mano che raccoglieremo le ulteriori informazioni utili a completare il profilo culturale di questa meravigliosa presenza nel nostro territorio.

Roberto Vescio

 

Vittoria Butera, laureata in lettere classiche presso l’Università di Roma, ha insegnato a Torino e in Calabria. Scrive saggi per libri di poesia, narrativa e arte; organizza manifestazioni culturali. Da alcuni anni è impegnata a diffondere la conoscenza dei suoi concittadini Antonio Porchia e Vittorio Butera. Di A. Porchia ha ricostruito la vicenda biografica e intellettuale nel saggio “Pillole di Saggezza, la vita e l’opera di Antonio Porchia” (Gezabele ed. 2004), che ultimamente è stato tradotto in spagnolo. Di Vittorio Butera ha curato le opere: “Canti e Cunti” (Centro Studi “Vittorio Butera” ediz., 2007); “Lettere in prosa e in versi” (Centro Studi “Vittorio Butera” ediz., 2008); “Conflenti e Conflentesi” (Città del Sole edizioni, 2013).
La sua produzione spazia in vari campi con opere originali, non sempre inquadrabili negli schemi di un genere determinato: “I Colori” (Istituto del Colore ediz., Milano, 2003, II ediz.), dove la creatività s’innesta sulle teorie del colore; il romanzo “Nottetempo Destino” (Città del Sole edizioni, 2011) che si sviluppa tra le pieghe della Storia e del mito; la raccolta di racconti “I Segni & I Sogni” (Città del Sole edizioni, 2011). Esegue indagini sulle identità culturali del popolo calabrese attingendo le informazioni dalle memorie viventi in tutto il territorio regionale. Frutto di tali ricerche sono i saggi: “San Foca, l’Ortolano” (Gezabele ed. 2003); “La fuga nel deserto” (Gezabele ed. 2003); “Il panno rosso”, libro e DVD sulle tradizioni del matrimonio (Città del Sole edizioni 2012, IV ediz.). “Le Vie del silenzio” (Gezabele ed. 2000), opera multimediale che illustra luoghi di culto e monasteri della Calabria con proposte di itinerari nel territorio adiacente ai siti.

 

L’ultimo libro di Vittoria Butera “Come Espero nel cuore della notte”, illustrato dall’artista Enrico Meo, edizioni Città del Sole (R.C.) propone una lettura dell’Iliade in racconti tematici. La selezione degli argomenti ha consentito di scoprire aspetti che, per la loro frammentarietà, restano sommersi nei vari canti.

Basando la propria interpretazione su dati individuati nel poema, l’autrice mette in discussione l’attribuzione dei fatti al decimo anno della guerra dimostrandone il carattere iniziale; ipotizza, inoltre, un’origine teucra delle cronache orali.

Sono proposti: eventi e personaggi, il mondo olimpico, idee, valori e aspetti del mondo omerico, usanze e quotidianità, informazioni sulle consuetudini, sul paesaggio antropico e naturalistico. Gli argomenti più celebri e passi ancora oggi toccanti per le emozioni che trasmettono sono riportati nella traduzione integrale per tenere il lettore a contatto diretto con il poema. 

Edizioni CITTA’ DEL SOLE

 

I segni & i sogni – Il libro è costituito da due parti. In “I Segni” sono compresi numerosi miniracconti riguardanti premonizioni che hanno interessato la vita di personaggi famosi, di città antiche e di popoli. Una raccolta di segni premonitori, frutto di paure remote, chiude questa sezione. La seconda parte, “I Sogni”, contiene una breve storia del sogno, visioni profetiche, e un’indagine sull’oniromanzia popolare.

Edizioni CITTA’ DEL SOLE

In copertina: Enrico Meo, Il sogno di Elia

 

 

La popolazione invisibile – Il libro di Vittoria Butera, che da tempo con la sua maestria affabulatoria e con la sua audacia esegetica ha scandagliato la cultura folklorica calabrese rivelandone il profondo spessore antropologico, si inserisce nella biblioteca ideale del lettore che vuole capire, indagare, interiorizzare le scoperte che questo saggio dischiude rigo dopo rigo. E il lettore
gioisce dell’ausilio che l’Autrice gli fornisce, proponendo un caleidoscopio che supera i confini della classificazione formale e si accampa come una galleria indimenticabile di personaggi. L’approccio ai miti e ai riti disvelati è quella secondo cui questi personaggi, aerei eppur concreti, immaginari eppur capaci di modificare il destino degli uomini di ogni classe e di ogni condizione sociale, sono figure di “confine” tra territori diversi, sospesi tra la vita e la morte, tra il bene e il male, tra il visibile e l’invisibile. E sono tali che varcano continuamente una “soglia” al di là della quale attraggono chi li segue in modi opposti eppur complementari.

Edizioni CITTA’ DEL SOLE

 

Misteri, epifanie, rivelazioni di un mondo altro

Il libro che avete dinanzi ai vostri occhi è un libro unico. Sorprendente. Eccezionale. Quando avrete finito di leggerlo, lo vorrete leggere di nuovo, daccapo. Perché vi accorgerete che una nuova lettura potrà dischiudere alla vostra mente nuovi dettagli, nuove riflessioni, nuove suggestioni. A conferire eccezionalità alle pagine che sfoglierete contribuiscono sia la penna sublime di Vittoria Butera, che con la sua incisiva delicatezza squaderna universi sconosciuti a molti, sia la scelta della materia, intrigante e spiazzante, quella della popolazione invisibile e liminare che permea la cultura popolare calabrese e, andando al di là di essa, l’immaginario collettivo mediterraneo ed europeo.

“Liminare”: dicevamo. Sì, perché l’altra novità dell’approccio ai miti e ai riti disvelati è quella secondo cui questi personaggi, aerei eppur concreti, immaginari eppur capaci di modificare il destino degli uomini di ogni classe e di ogni condizione sociale, sono figure di “confine” (il limes latino) tra territori diversi (sospesi tra la vita e la morte, tra il bene e il male, tra il visibile e l’invisibile). E sono tali che varcano continuamente una “soglia” (il limen latino), al di là della quale attraggono chi li segue in modi opposti eppur complementari.

Vittoria Butera -che da tempo con la sua maestria affabulatoria e con la sua audacia esegetica ha scandagliato la cultura folklorica calabrese rivelandone il profondo spessore antropologico- ci consegna quest’altro capolavoro, che si inserisce nella biblioteca ideale del lettore che vuole capire, indagare, interiorizzare le scoperte che questo saggio dischiude rigo dopo rigo.

E il lettore gioisce dell’ausilio che l’Autrice gli fornisce proponendo un caleidoscopio che supera i confini della classificazione formale e si accampa come una galleria indimenticabile di personaggi. E questa sua “vertigine della lista” è necessaria anche per noi: per compiere insieme all’Autrice un breve viaggio entro i dedali di questo fantastico-realistico mondo di personaggi invisibili che da secoli accompagnano le gioie e i dolori della gente del Sud. Noi seguiremo, per essere fedeli al libro, la sua settemplice partizione.

Apre il volume la “popolazione invisibile”, costituita da una fitta rete di entità eteree, buone o malvagie, che, nella mentalità popolare, occupavano l’atmosfera stessa. Quasi pure essenze, esse si manifestavano attraverso la voce. Tutta la realtà naturale parlava di loro. Gli annegati facevano udire le loro urla strazianti dai gorghi dei torrenti; gli amanti infelici narravano i loro amori infranti accompagnati dall’infrangersi delle onde marine sulle scogliere; i neonati morti anzi tempo mescolavano i loro vagiti ai singhiozzi dei venti.

Invisibile è anche il secondo gruppo costituito dagli spirdi (gli spiriti), segnati da duplicità: accanto alla bon’anima, che chiedeva messe e preghiere per raggiungere il Paradiso, c’era l’anima dannata, appartenente ai condannati all’inferno. In zona intermedia e, appunto, liminare si collocavano gli spiriti dei cosiddetti paganelli, cioè bambini morti senza battesimo, che ci fa venire in mente i bambini “morti con le parole mancanti”, i quali popolavano le aree rurali della Campania: lì si ritiene che, se al momento del Battesimo non si pronuncia la formula sacra per intero, il neonato, insieme a tutti quelli che per morte prematura non ricevono il primo Sacramento, sono destinati a vagare intorno alla case natali sotto forma di alito di vento e di animale.

La magica carrellata di Butera si concentra poi sulla “popolazione misteriosa”, fitta e numerosa, dai molteplici e conturbanti nomi. In essa prevale la “vecchia”, che ha molti volti. Il più celebre è quello della Befana, la quale altri non è che la positivizzazione dell’archetipo della strega: come lei ha tratti fisici repellenti, come lei vola, come lei è in rapporto con l’Occulto. Ma, almeno, porta doni. Butera ha scoperto, in terra di Calabria, l’anti-Befana, che nascondeva in un gran sacco le calze dei bambini con i doni della Befana. I bambini all’inizio rimanevano delusi, ma poi ricevevano pochi giorni dopo pacchetti con indumenti nuovi e interiorizzavano il messaggio positivo: i doni dovevano essere utili. L’azione del “rapire” segna anche la poco nota figura delle Ddeche, che rapivano i giovani con le loro lusinghe (spesso i testi latini degli Inquisitori parlano di “lusinghe” delle streghe) e li tenevano prigionieri per anni (relitto, questo, dei miti odissiaci delle donne alla Circe), senza che essi ne serbassero memoria.

La quarta cornice di questo Limbo folklorico è abitata dagli “spaventabambini”, come le streghe filiformi. Vittoria Butera, a questo proposito, ci sorprende con la scoperta di un particolare genere di questi esseri: la Lamìa di Conflenti, il suo paese natale. Essa scendeva dal tetto con aspetto filiforme per strangolare neonati e bambini piccoli nelle culle. I quali venivano così “iniziati” alla lotta contro la paura. “Le mamme -scrive l’Autrice- li tranquillizzavano dicendo che avrebbero vegliato accanto a loro con una forbice in mano per tagliare il filo, che a quel punto scompariva senza lasciare traccia.” La scoperta è tanto più inquietante, se si tiene conto che la lamia viene considerata l’antenata latina del Vampiro: questo colloca la Calabria al centro di un’operazione di “contaminazione” fra cultura classica, tradizioni popolari mediterranee e suggestioni mitteleuropee.

Una variante di questi gruppi di esseri anomali è costituita dagli “spaventabambini liminari”, tra cui le recce, popolane dedite all’orticoltura e alla vendita dei prodotti al mercato: del loro parlare concitato si comprendeva solo il senso onomatopeico. Esse, dunque, si avvalevano di una sorta di grammelot, che era recepibile solo da una piccola comunità di “iniziati”. In realtà, spaventavano per la loro alterità. E sicuramente provenienti da un mondo altro erano le figure del sesto gruppo: quelle “presenze cristiane”, in cui Vittoria Butera inserisce gli Angeli e il Diavolo. I primi sono schivi e tendono a operare di nascosto, come è tipico di chi compie il bene; il secondo, invece, è platealmente “presenzialista”. Egli è capace anche di compiere imprese titaniche, come la costruzione di un ponte in pochissimo tempo, per palesare la sua geometrica potenza; e fa sentire il suo tanfo di zolfo anche nel corpo e nella mente di coloro che sono da lui invasati.

Con questi ultimi esseri anomali, siamo entrati nell’ultima categorie, la più fitta: quella della popolazione liminare. In essa svettano alcune creature: dai monachìellu (liminari anche per il loro duplice ruolo di esseri che nascondono o, al contrario, fanno trovare oggetti) alle magare (sorelle calabresi delle majane campane, che facevano sparire i bambini) fino ai lupu mannaru (divenuti liminarmente metà uomini e metà lupo, perché “osarono” varcare un limite vietato, cioè nascere nella notte in cui nacque Cristo).

Di più non vogliamo rivelare: sarà il lettore, che si è avventurato in queste auree pagine, a fare personalmente le sue scoperte. E si sentirà spiazzato ma meravigliosamente stupito, straniato ma spinto da una forza misteriosa a procedere nella lettura di questo squisito gioiello letterario, spaesato ma cittadino di questo mondo strano. Perché anche dalle anomalie, di cui tale mondo è permeato, egli potrà apprendere il significato di molte tessere di questo misterioso mosaico che è la vita.

Franco Salerno

 

La magia degli oggetti – …Gli utensili acquisirono magia entrando in una sfera che trascendeva la loro applicazione nel momento in cui gli uomini, servendosi di attrezzi elementari, si resero conto d’impiegare uno sforzo minore nelle operazioni manuali. Trasferirono quindi l’effetto delle migliorate capacità esecutive ad una virtù prodigiosa che presupponevano insita negli oggetti…
‘A chìcchera, nel suo significato concreto designa la tazza di ceramica; il valore traslato si è esteso all’arte del bere, per cui ‘na chiccherijàta voleva dire una bevuta abbondante e collettiva. In tal senso si connette al greco kykeon, una bevanda di vino miscelato con formaggio che gli eroi omerici consumavano nei banchetti. ‘A chìcchera, quindi, entra nel campo semantico dei legami che la bevuta stabilisce tra i partecipanti a una festa o a un rito; evoca inoltre lo stato di ebbrezza, che separando l’uomo dalla realtà lo pone a contatto con un altrove rigeneratore o di perdizione…
‘U gabbacumpari, brocca particolare nella forma e nella funzione…

 

“Itinerari nel tempo” di Vittoria Butera – IL PANNO ROSSO

 Il panno rosso di Vittoria Butera

Fino a pochi anni fa poteva capitare di passeggiare tra le vie dei piccoli borghi calabresi e di incontrare donne vestite con abiti tradizionali, le cosiddette “pacchiane”, che rendevano quei luoghi ancora più ricchi di fascino e immersi in un’atmosfera dove il tempo sembrava essersi fermato davvero.

Ma cosa si celava dietro alle forme e ai colori caratteristici di quegli abiti, chiamiamoli pure costumi, per altro diversi nei numerosi paesi della regione? Quali le ragioni di tanta diversità scenografica?

Nella realtà il tutto si basava su delle vere e proprie regole sociali imposte da una società tribale fondata senza dubbio sul valore sacro della famiglia. Gli stessi aspetti del matrimonio, con le sue tradizioni collegate ai riti di corteggiamento, promesse, banchetti, doti….costituivano un dato imprescindibile per la solidità di una struttura sociale e civica che si è mantenuta fino ai giorni nostri, seppur con le evoluzioni e i cambiamenti inevitabili che il progresso generazionale porta con sé.

Il testo di Vittoria Butera si presenta come un’indagine ricca e suggestiva su queste tradizioni, resa ancora più “scientifica” da fonti orali e documenti fotografici originali provenienti da diverse zone geografiche della Calabria, da testimonianze, riferimenti bibliografici, voci a tutto campo che raccontano con sensibilità un segmento della nostra storia.

Non resta che immergersi in una lettura attenta e piacevole di un testo coinvolgente, che non lascerà  indifferenti soprattutto i calabresi, che potranno così riscoprire i valori fondanti di una terra tanto speciale quanto spesso dimenticata o forse, chissà, a volte poco conosciuta.

Rosita Calisto

 

 

 

I Colori – In queste pagine, la storia, il sogno, la fantasia, l’amore e la paura s’intrecciano in situazioni sublimate da un’anima sensibilissima che ne è il filo conduttore; essa ci viene raccontata come fosse una tavolozza generosa da cui attingere il senso colorato della vita.

La volontà di indagare il colore con tale profondità e sicura passione non può che scaturire da un vivere attento, condotto sul solco che divide la realtà dall’immaginazione.

L’autrice è consapevole che la nostra eternità è il COLORE e, con disdegno si pone davanti al concetto che esso è soggetto a sfiatare: “Il colore è la luce riflessa di un corpo, diversa, secondo la lunghezza d’onda della radiazione o delle radiazioni elettromagnetiche di cui è costituita”; ciò mortifica e riduce quello che costituisce, a pari dell’aria che respiriamo, un’essenza fondamentale che imprigiona e libera l’uomo, che lo intristisce e lo rende gaio, che lo insospettisce e lo rilassa, che lo turba e lo ammalia, lo impaurisce e lo celebra, ma che, soprattutto, lo possiede.

Essenza dunque esteriore ed interiore all’uomo e con esso impasta in dosaggi sapienti tanto da creare miliardi di tinte, una diversa dall’altra così che ogni individuo possa avere la sua per dipingere la tela della propria esistenza.

Vittoria ha saputo darci una ragione profonda, con questa opera, per cogliere il significato sacrale che ogni colore porta in sé, e che è mutevole come è mutevole l’azzurro del cielo poiché ogni giorno è diverso dall’altro.

Se Vittoria ha svelato ai pittori un codice in cui è racchiusa la storia secolare della loro inconsapevolezza cromatica, celata a volte con l’intuito artistico, ella ha anche regalato ai musicisti, ai danzatori, ai fotografi, ai bambini, a chi sa ancora farsi incantare da un tramonto sul mare o da una farfalla su una foglia, ha regalato, dicevo, un codice che racchiude millenni di fiori, di nuvole, di desideri, di ricordi, di poesia e di ogni cosa abbia saputo essere COLORE.

L’opera assume una certa imponenza non solo per la vastità dei temi ma, in special modo, per le angolazioni interessanti e a volte originalissime da cui l’autrice osserva amorevolmente la vita dei colori e i colori della vita. Una esplorazione raffinata che talvolta diviene fantasiosa cronaca di ricordi che solo nell’archivio mentale dell’artista, che ha saputo decifrare l’intimo legame fra l’evento e il colore, avrebbe potuto trasformarsi in crismale del colore.

                                                                Maurizio Carnevali
                                                       scultore e pittore

Policromia tirrenica

Tramonto unico, ineffabile, tanto straordinari sono stati colori e i riverberi. Chiunque tu sia, creatore dell’universo, ti sei dimostrato vero grande artista: architetto, scultore, pittore. Unico mezzo di cui non ti sei servito la parola, strumento dell’uomo.

 Stasera, di te è trionfata l’abilità pittorica in un cromatismo spettacolare dominante su tutti gli elementi della natura. Ed è stato il colore a modellare le cose con impasti e velature, a riscolpire le forme movimentando le superfici con striature accarezzate e distese, espandendone i contorni con esuberanti vivacità cromatiche, per poi contenerle entro tinte abbrunate e infine occultarle in un lucido nero.

 Volge quasi il tramonto: declinando sull’orizzonte tirrenico, la luce solare attutisce gli eccessi scintillanti del giorno sì da consentire alle terre insulari di rendersi visibili senza trovare ostacoli negli sfolgorii inaccessibili alle capacità umane.

Le colline digradanti sulla linea di costa, perso il verde diurno, si tingono del blu che ha già velato Capo Vaticano, proteso sull’estremo golfo lametino ad ostruire gli spazi. Ma stasera la vista va oltre.

 La fata Morgana ha liberato i confini, per dare respiro alle entità geografiche. L’Etna compare in un azzurro denso, fronteggiando il gruppo Stromboli-Vulcano che la percezione visiva ravvicina in un insieme armonico nell’unisono delle tinte. Dopo una lunga attesa, i giganti infuocati del Mediterraneo sono ricomparsi insieme, e suscitano lo stesso stupore delle statue a cui l’artista toglie il velo, che aveva steso per occultarle fino al momento di manifestarle agli astanti.

Attorno ai maestosi vulcani, Eolo scopre l’intera estensione delle sue isole: una pastosa tonalità d’azzurro ne definisce i contorni in modo così preciso che è possibile riconoscerle una per una.

Il celeste del cielo, bagnandosi nel mare, diventa più terso, più chiaro e diffuso, e va esplicando, in un’ampia gamma tonale, la sua composita capacità di divenire.

Nefele è chiamata ad intervenire dagli spazi remoti del tempo. Diffondendo qualche nuvola, soffusa e leggera, offre al sole maggiori opportunità di espressione nel filtrare la luce in varianti cromatiche. Le nuvole, interrompendo i celesti, trasmettono azzurri più intensi, trasfondono il rosso infuocato nei gialli, nei rosati e arancioni, colori dalle calde densità che velano di palpiti il tramonto e poi, tuffandosi nelle acque, diluiscono il cromatismo in toni minori: paglierini, rosa di Francia, lilla setati rivestono il mare, preparandolo tramite delicate fantasie all’incontro ardente con l’astro solare.

Intanto, il sole lancia gli estremi bagliori del giorno, che si rifrangono sulle vetrate delle case collinari e, dopo averle infuocate, come boomerang ritornano a lui. Il gioco di andata e ritorno dei raggi coinvolge l’intero territorio, espandendo le superfici irradiate sino a confonderle entro le deflagrazioni radiali, sempre più attutite, del crepuscolo.

E’ appariscente il trionfo del rosso più fulgido, mentre nell’estasi dell’amore si congiunge alla maestosità dell’oro; la forte intensità del fenomeno rende fruibile lo spettacolo, venendone rallentate le fasi dalla calma velocità della luce serotina.

Anche gli altri colori non mancano di sorprese; sembrano gareggiare nel catturare gli sguardi vaganti sul dovizioso palcoscenico del tramonto, ed offrono alle riflessioni dell’ora le condizioni opportune per risolvere ogni pensiero in forme mitiche. Il richiamo di immagini anima il golfo, sempre più effuso dagli effetti cromatici, e lo popola delle antiche presenze che l’uomo creò per animare la sua solitudine nell’incommensurabilità degli spazi universali. Ma, nessuna evocazione è così forte da prevalere sui colori, che si cimentano in vistosi giochi espressivi sulla natura e sulle forme.

Ecco il giallo, profuso attraverso le nuvole, adagiarsi sull’azzurro del mare, senza unirsi, come al solito, al verde; rimane a fior d’acqua, quasi smaltato, nuotando in lunghe strisce che abbracciano aree d’azzurro e mantengono la propria identità: “Stasera no” va mormorando il giallo sui cerulei marini.

Il consueto pennacchio di fumo, costante negli ultimi tempi sullo Stromboli, compare in un grigio corposo sullo sfondo arancione dell’ultimo sole, che cala perdendo le curve; diventa più piatto; si tuffa. “A domani! ”. Ma anche da sotto il livello del mare continua a emanare la luce.

Si fa più cupa ogni tinta. Vediamo l’azzurro coprirsi di blu, poi, mescolandosi ai rossi vespertini scioglie le superfici in viola.

Elle ha finito di scomporre la luce e di esplicare le iridescenze più pure ed elementari della sua essenza; ora le giustappone per ricomporre i colori dell’iride. Le nuvole si avvolgono nei grigi mantelli per andare incontro alla notte.

In quali spalti lontani, stasera, è rimasta la luna? perché non si affretta a raggiungere questo angolo privilegiato del Mediterraneo per vedere, insieme a noi, tinte mai viste? Lei manca. Ma ecco, in un cerchio ceruleo di cielo incomincia a brillare una stella, la prima ad affacciarsi sullo scenario strabiliante di questo tramonto. Mancava una nota di candido bianco. Ora c’è. Intanto, i rosa lasciano spazio ai corallo; il rosso diventa granato: colori più forti, più confacenti alla sera.

Il mare, ora, è azzurro; verdastro; blu notte. La notte. La notte è scesa con un nero più fondo, e, copre i vulcani, inghiotte ogni cosa. Nel nero del cielo continua a brillare la stella; poi, anche le altre escono fitte e stemperano lo scuro mantello col bianco lucente.

E’ stato il tramonto del 15 dicembre dell’anno 1989 che ormai volgeva alla fine.

 (tratto da: Vittoria Butera, I Colori, 2° ediz. Istituto del Colore, MI)

 

Le Vie del Silenzio

“Le Vie del Silenzio”, opera multimediale sui luoghi di culto della Calabria e itinerari nel territorio adiacente. Comprende cinque sezioni: Edifici mariani; Ora et labora (i monasteri); Da grotta a grotta (cappelle rupestri); I sentieri dei pellegrini; I luoghi dei taumaturghi. Con approfondite introduzioni ad ogni sezione, l’autrice collega l’arte, la storia, le tradizioni, l’archeologia all’ambito della religione che in Calabria possiede un notevole patrimonio culturale.